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Se questa Istanbul in bianco e nero fosse una sposa, queste pagine sarebbero un'appassionante dichiarazione d'amore del suo narratore e i verbi, disseminati qua e là, in prima persona plurale, mal celano che non è il solo ad amarla; il pranzo, poi, nella catapecchia a picco sul Mar Nero nel borgo di pescatori, non lontano dal faro della "Quercia d'Anatolia", ha il sapore di un pranzo di nozze, il più semplice e povero, il più bello. Il primo incontro è un dipinto leggero e sfumato di nebbie, di bruma salmastra, presagio di un incontro che non può bastare. La voglia di raccontarla nel suo intimo, anche calcando le orme dei viaggiatori ottocenteschi da De Amicis a Gautier, si scontra con il pudore di non volerla svelare: "L'Altra Istanbul" sussurra una città da visitare e rivisitare fino a perdersi per trovarsi. Una gelosia amorosa la nasconde agli occhi estranei; la potrà gustare solo chi potrà amarla scoprendone vicoli, piazze, palazzi, chiese, mura, torri e moschee fino alle viscere, un profondo affastellato di cisterne, selve colonnate, chiaro scuri ed echi imperiali: acqua dolce o salata, da sempre sua forza, sua vita, sua rinascita.